Le sue parole, trent’anni dopo, hanno ancora la stessa potenza di un’invettiva: «Vi prego gridate che qui la gente muore di granate, di cecchini, di malattie, ma anche di paura, di angoscia, di disperazione. Perché non c’è pace, non c’è pane e l’inverno arriva. E nessuno crede che non li abbiamo dimenticati. Vi prego gridate». Sta scritto su un cippo inaugurato il primo ottobre a Canzo, il paese di nascita dove è sepolto Gabriele Moreno Locatelli, morto a Sarajevo il 3 ottobre 1993, ucciso da un cecchino.
Ieri alcune decine di persone, come racconta Nicole Corritore sul sito dell’Osservatorio Balcani e Caucaso, si sono ritrovate sul ponte Vrbanja che attraversa il fiume Miljacka, per ricordarlo. Alla commemorazione erano presenti anche l’Ambasciatore italiano Marco Di Ruzza, la vicesindaca di Sarajevo, Anja Margetic, familiari e amici di Moreno.

Su quel ponte per la prima volta dopo trent’anni si sono ritrovati insieme anche Luigi Ceccato e Luca Berti, due dei quattro volontari che con Moreno avevano tentato di attraversarlo (gli altri due erano il fiorentino Gigi Ontanetti, scomparso nel 2017, e il bolognese padre Angelo Cavagna, ora ritirato in una struttura per lungodegenti).

I cinque volontari partecipavano al progetto «Si vive una sola Pace» e stavano compiendo un’azione simbolica rivolta alle due parti in conflitto: volevano deporre una corona di fiori sul luogo della prima vittima di quella guerra (la giovane Suada Dilberovic uccisa nell’aprile 1992 durante le prime manifestazioni per la pace a Sarajevo), e quindi offrire simbolicamente del pane ai soldati bosniaci e a quelli serbi, che si fronteggiavano dalle sponde opposte del ponte. Moreno Locatelli e gli altri erano rimasti a Sarajevo a seguito delle iniziative di Mir Sada (“pace subito”): la prima Marcia dei 500 del dicembre 1992 che voleva spezzare l’assedio della città, e la seconda carovana di 1500 pacifisti che nell’agosto 1993 attraversava l’ex Jugoslavia in guerra per raggiungere Sarajevo, ma non riuscendoci poi ripiegava su Mostar. Erano i tempi dei Beati i Costruttori di pace, dell’Operazione Colomba, di don Tonino Bello, Tom Benettollo e Alexander Langer.

Per la prima volta il pacifismo italiano «metteva gli scarponi sul terreno», e da movimento d’opinione tentava la strada del pacifismo solidale e umanitario: portare direttamente aiuti alle vittime della guerra, condividere la loro sofferenza, e insieme cercare vie d’uscita per una pace costruita dal basso. Certo, in quei primi anni ci furono anche molte ingenuità, improvvisazioni, errori, poi corretti nelle successive presenze pacifiste in Kosovo, in Palestina, in Iraq. Quel pacifismo concreto che oggi si esprime in Ucraina con una visione chiara: tra l’arruolarsi per la guerra o disinteressarsi del destino altrui, c’è la terza via della nonviolenza attiva. Moreno Locatelli è stato ucciso dalla guerra; non è stato un eroe né un codardo, è stato un pacifista morto mentre faceva la sua parte, così come capita ogni giorno a migliaia di soldati mandati a massacrarsi.